Napoli dalla cenere al fuoco
di Gabriele Montagano
Napoli è avvezza ai miracoli, vive e convive con le cose impossibili. Forse questo la rende imprevedibile e dinamica. Generatrice di gioielli culturali che nascono dalle ceneri della vita.
Napoli è un corto circuito, città sorda, porosa, cieca, che incanta e seduce, ma che è abitata ed attraversata da una provinciale abitudine culturale – direi un po’ borghese e pertanto provinciale perché sente il rischio della propria precarietà – avvezza a snobbare o ad occultare, a dissipare la memoria degli uomini e delle donne che danno vita a piccoli momenti di grazia.
Parlo di Girolamo De Simone, un infaticabile e solitario uomo di cultura che ha dato vita ad un ricordo di per sé sordo e muto perché pervaso dalla perdita di un amico a noi caro: Luciano Cilio, compagno di suoni e di sperimentazioni in anni in cui la vita sembrava riservarci l’impossibile. Il compositore che urlava in silenzio e che oggi vive una stagione di presenza compositiva, soprattutto all’estero, grazie a Girolamo.
Girolamo De Simone ha organizzato “Doppio Sogno XXI – Eclettica 2.2”, un’anteprima della nuova stagione di Eclettica 2.2, dedicata dal Teatro d’innovazione Galleria Toledo alle molteplici declinazioni della musica contemporanea. Cesare Picco con “Notturno sotto le nuvole”, giovedì 15 luglio 2021. Musiche di Cesare Picco; e Andrea Riccio con “Centro d’astrazione”, venerdì 16 luglio – con un omaggio a Franco Battiato. Musiche di Bach, Battiato-Libetta, Kurtág, Schumann.
Girolamo ha dato vita a questo piccolo gioiello per l’ascolto nella fantastica scenografia di Villa Pignatelli per ricordare simbolicamente i 40 anni di “Avanguardia e ricerca musicale” a Napoli negli anni ’70”, che si tenne appunto a Villa Pignatelli nel luglio del 1981 ad opera del compositore partenopeo Luciano Cilio. Una stella cadente che da lì a poco si sarebbe suicidato.
Conobbi Luciano Cilio negli anni ’80. Non era uomo facile, schivo e silenzioso, fragile e potente nella sua riservatezza. Mi colpì subito e riconobbi un comune sentire che poi ho condiviso per decenni con Girolamo De Simone. Il sapersi parte di una minoranza che faceva sul serio, che non cercava presenza e facile visibilità. Non ammiccavamo alla gestione di alcun potere, volevamo solo che il mondo ascoltasse i nostri suoni. Il nostro sentire. Eravamo consapevoli che c’era un modo diverso di fare musica, ma che bisognava fare i conti con le sovrastrutture di un sapere che riconduce tutto al dicibile, al già detto e riconoscibile. Rassicurante dimensione per deperire nel proprio contenitore di lingue e saperi.
Ebbene Girolamo De Simone riesce sempre in questa pratica del ricordo perché ne pratica ogni sua sfumatura. È una minaccia per il sistema delle produzioni culturali perché tira fuori la carne viva delle incongruenze, delle parole sospese nel brusio della produzione culturale della città. Sa rendere viva la ferita non guarita di Napoli. Sa esporre con un silenzioso gesto produttivo la cenere prodotta e il suo possibile diventare fuoco. Con grande maestria sa orchestrare la rinascita di ciò che sembrava aver preso la strada dell’oblio. È una dimensione creativa potente quella di Girolamo De Simone perché restituisce poesia con quel poco che resta. E in questo resto c’è la grandezza di uomini come Girolamo. La consapevolezza di essere minoranza per essere frattura.
Bisogna essere minoranza, bisogna essere altrove per incontrare il nuovo. Bisogna occupare gli interstizi della città per renderla visibile ai più.
E così accade il miracolo come ho detto.
Due concerti, ma direi due sospensioni del suono prendono forma a Villa Pignatelli.
Cesare Picco e Andrea Riccio danno vita alla poesia dell’ascolto e del tocco. La carezza che nasce dal deserto delle produzioni.
Gabriele Montagano