Spannung, ‘summa’ di Romina Daniele

Recensione di Girolamo De Simone

SPANNUNG, ‘summa’ di Romina Daniele

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Siamo ormai disabituati a lavori come “Spannung” di Romina Daniele. Il motivo è semplice: già da tempo la ricerca ha ritenuto di abdicare alla proposta densa, dichiarandosi sconfitta. Sponde di resistenza sono naturalmente sempre sopravvissute, negli anfratti del noto, riuscendo spesso, nell’assenza istituzionale, a trovare sporadiche linee di assenso. La linea dell’avanguardia è stata tutta in quel trattino tra assenza-assenso. Ora “Spannung”, questo progetto monumentale di Romina Daniele, si pone come una stele assertiva, musicale e – a parer di chi scrive – anche teorica. È una stele e anche un dardo infuocato: riuscirà a ‘rompere’ l’omertà italiana?

“Spannung” è un cofanetto che ha visto sette anni di ‘gestazione’, e che comprende ben tre dischi, uno rosso, il colore della copertina e del libretto (e ‘rossa’ è un po’ anche l’immagine trasferita dalle belle foto dell’artista), uno blu e l’ultimo nero. Nel cd I, la voce di Romina Daniele, le sue composizioni e la sua elettronica. Nel secondo, senza intenti sottrattivi per poetica e linguaggio, il percorso vocale continua, ma con interlocuzioni maggiori: Luca Caiazzo ed Emanuele Cutrona (Bass), Luca de Maio (Guitar), dando una visione più performativa, forse live,  che completa ed integra lo spettro di ciò che può fare Romina Daniele, sia in senso tecnico-musicale (a noi già noto) ma soprattutto, qui, in senso progettuale. L’architettura di “Spannung” è solida, ben congegnata, appunto ‘monolitica’.

Nei primi due cd ci sono poi alcuni luoghi conosciuti, diciamo degli ‘indicatori stradali’, per usare un linguaggio francofortese: Gershwin, Bessie Smith, Frank Sinatra, alcuni traditional. Offerte di una sponda per non spaurirci: ma si tratta dell’arte del permutare, di ricreare, di fare ciò che si vuole del noto, senza tradirlo, anzi innovandolo. Ciò significa memoria, ma non necessariamente nel senso dell’appropriazione (che è moto solo individuale, e con l’immaginazione incontenibile ha poco a che fare). Nel cd III, quello nero (che è il mio preferito), il cerchio si chiude con due sole composizioni, forse le più lunghe e che considererei quasi come delle ‘operine’, in grado d’essere  autosufficienti: “Dasein III” (quasi 25 minuti), preceduto da “La natura assente” (6:24 densi minuti), che tanto mi ricorda la stringa di significanza “Petrarca-Ungaretti-Cilio”, anche da me allusa in un disco intitolato “Dell’universo assente” edito e più volte ristampato dalla milanese Die Schachtel. Secondo quella stringa, che conduce a Luciano Cilio, “Laura è un universo assente….. L’idea di assenza è un mondo lontano nello spazio e nel tempo, che torna a udirsi vivo nel fogliame del sentimento, della memoria e della fantasia. È soprattutto rottura delle tenebre della memoria” (G. Ungaretti, “Note – Sentimento del Tempo”).

Non so naturalmente quanto in questo titolo ci sia rispondenza d’intenzionalità d’architettura. La grandezza di questa musicista, che solo musicista non è, risiede proprio nella sua capacità di proporre un’azione compositiva e un gesto vocale ardito, che si mette in gioco, che osa ed esplora terre quasi vergini, là dove pochissimi altri hanno messo piede (e penso naturalmente a Demetrio Stratos: credo che Romina sia tra le pochissime artiste viventi in grado di usare la voce come Demetrio), e contemporaneamente offrire una solidissima impostazione estetica e filosofica. Qualcuno scriveva che non si può prescindere dall’essere. Personalmente ho preferito riferirmi alla molteplicità del senso, dei soggetti, del sentire, lasciando aperta la mia progettualità estetica attraverso la capacità d’eteroriferimento dell’opera, e non al senso esaustivo per il quale “noi siamo il ci e il qui del mondo (Dasein)”. A mio avviso sono molto più interessanti, appunto, l’eteroriferimento, l’altro. La riflessione di Romina Daniele, che dà questa forza straordinaria alla sua musica, è tesa alla ricerca dell’autentico, del punto d’inizio e di chiusura, dove l’altro viene reperito nell’ “essere insieme gettati nel mondo”. È un’altra sponda, un’altra possibilità rilasciata all’autentico. Per questo, piace molto concludere con le sue parole: “la voce si gioca tutto, ad alti gradi di esposizione, in fronte alle strutture del costrutto. E la voce qui è l’uomo. L’essere-insieme enigma che ci sta a cuore è anche al limite dello struggimento, ed il limite non è dove una cosa finisce, bensì è dove ogni cosa inizia la sua essenza”. [Girolamo De Simone]