Abstract dalla Prefazione al volume “La voce della musica”. Autobiografia del compositore-pianista Gabriele Denaro (Edizioni Akkuaria. Collana di Narratori Contemporanei diretta da Vera Ambra)
Nota dalla Prefazione di Girolamo De Simone
Si può oggi legittimamente scrivere musica tonale? Adorno avrebbe liquidato la faccenda come fece con Stravinskij, preferendogli Schönberg. Ma per fortuna fu subito ‘bacchettato’ da Ansermet, che rivelò come i meccanismi dodecafonici fossero estremamente prevedibili, e ci raccontino qualcosa di scontato anche nelle loro evoluzioni seriali o sperimentalistiche. Uso apposta la parola ‘sperimentalistico’, e non il termine ‘sperimentale’: evidentemente gli ‘ismi’ portano a una narrazione epigonale, e francamente tra epigoni da cassetto ed epigoni da cassetta, visto che il mondo tonale può emozionare e ricollegarci con un pubblico in fuga dal contemporaneo, preferisco ovviamente i secondi.
Ciò, però, non solo per motivi di ‘cassetta’, o utilitaristici. Ma per una considerazione estetica. Laddove il contenuto e la validità di un’opera non possano evidentemente più rintracciarsi nella complessità di struttura, oppure nella novità per la novità, tale valore va evidentemente rintracciato altrove. Ma dove? Da molto tempo ho proposto la teoria del rinvio di senso: un’opera ha valore quando è in grado di rinviare ad altro da sé. Quindi, il significato ha una connotazione di ‘direzione’: senso come direzione. Se correliamo questo assunto alla musica di Gabriele Denaro, a partire dalle opere giovanili per pianoforte, quelle che non si trovano sul Web, come la “Composizione n. 9”, scritta ad appena quindici anni, possiamo rilevare che questa direzione, ancora neoromantica, è intrinseca al linguaggio di Denaro, e si accompagna ad un pianismo delicato, emozionante, calibrato, funzionale allo scopo.
Se passiamo in rassegna altri lavori, come la “Ballata” per piano solo del 1990 (https://youtu.be/FDGUKhkEfGA) rileviamo stilemi già felicemente contaminati. Ci sento pattern minimali, di origine forse ancora post-romantica, ma utilizzabili come musica per immagini. Sorvolo sulla bellezza esecutiva e sulla sua naturalezza, dal momento che Gabriele Denaro proviene dalla scuola pianistica di Eugenio Fels, il quale come sappiamo è storicamente erede della prestigiosa e autentica scuola napoletana di Beniamino Cesi. La linea di discendenza diretta è la seguente: Beniamino Cesi, Antonietta Webb-James, Eugenio Fels, Gabriele Denaro e… l’autore di questa nota. Un pianismo, pertanto, che fa del tocco e della musicalità il centro del suo interesse. Com’è questa “Ballata”? Si è tentati di mettere in pausa il lettore web, oppure di passare subito ad altro? No. Tutto è coerente, autentico, emozionante. Tutto, in altri termini, in linea con quanto narrato da Piero Rattalino nel suo ultimo libro (La testa, il cuore, la pancia, Varese 2021), che auspica questa emozione come unico antidoto alla noia in sala da concerto. Posso ritenere, quindi, anche in questo caso, che la “Ballata” è assolutamente funzionale allo scopo. E la ascoltiamo tutta, con la sua malinconia che riporta agli albori del pianismo. E qui fa capolino, forse, anche un’altra caratteristica di questa produzione: la sua generosità. È musica che pur correndo il rischio di essere etichettata come retorica, evade tale narcisismo lessicale attraverso una purezza comunicativa che non ha altro scopo che quello del respiro. Musica come respiro. Musica, quindi, generosa. E chiunque conosca Gabriele Denaro sa benissimo che la generosità è uno dei suoi tratti distintivi.
Se ci rivolgiamo ai lavori per diverse geometrie, come “Tempesta nel cuore” (https://youtu.be/NwxxD-zb7XA) , pubblicata nel 2009, troviamo un tema icastico, e possiamo valutare come questa composizione sia vicina alla produzione di autori molto gettonati del minimalismo, pur nell’utilizzo di alcune cellule citazionistiche. Penso a Nyman, ma potrebbero esserci numerosi altri riferimenti. La freschezza, la fruibilità – e quindi la certezza di una adeguata funzionalità – viene confermata. Un altro trio è “Doppio gioco” (https://youtu.be/iOs5izySQgs), dove a parer mio la vicinanza con il minimalismo si fa più evidente.
Se allarghiamo le geometrie e arriviamo alla produzione per orchestra, echi cinematografici mi par di scorgere in “Magia” (https://youtu.be/Fc5sCao3jTE), dove il flauto di pan assume valenza da protagonista (come nel miglior Morricone) e il pianoforte appare invece solo a tratti. “Il giardino del Tramonto” ha la purezza iconica di una fabula musicale, e mi pare evidente che Gabriele Denaro voglia infrangere la consuetudine del suo virtuosismo, tornando ad un uso essenziale e volto a una vera e propria magia modulante, nel dialogo con gli archi. La dolcezza di questo brano, il suo perfetto equilibrio tra semplicità ed efficacia lo rende uno dei miei preferiti (https://youtu.be/4kZESVjhcys): una magia che mi riporta a quella del film “L’Illusionista”, con colonna sonora di Glass: sia chiaro che il mio riferimento è emozional-stilistico, e non di mera similitudine compositiva. Questa musica è talmente evocativa che potrebbe essere funzionale, appunto, ad un utilizzo cinematografico ai più alti livelli. Per verificare, poi, l’efficacia ‘live’, si ascolti “Live in Kiev”, con l’orchestra di quella città (https://youtu.be/awmN-XZaGZk). Un ultimo riferimento non può che andare – infine – a un recente “Concerto per piano e orchestra”, del quale non vi ancora testimonianza su Y.T.
Per tutto quanto sommariamente esposto, la legittimità di questi lavori è data: esiste una avanguardia dei contenuti, e una validità estetica guadagnata sul campo. Questa musica è bellissima, e allo stesso tempo funzionale.
Musica che felicemente racconta.
Girolamo De Simone (abstract dalla Prefazione al volume “La voce della musica”. Autobiografia del compositore-pianista Gabriele Denaro)