La vera scuola pianistica napoletana

La vera scuola pianistica napoletana
di GIROLAMO DE SIMONE

“Vincenzi’ cambia mestiere”, disse Sigismondo Cesi al giovane Vitale, al termine di uno dei suoi primi concerti, aggiungendo: “il pianoforte non fa per te”. 

L’episodio, di cui fu testimone, venne raccontato da Antonietta Webb-James, amica di Sigismondo e allieva di Beniamino Cesi, per mostrare la differenza tra la vecchia scuola di Beniamino Cesi e quella di Vincenzo Vitale, che ne aveva ripudiato tecnica e ideali. Il suo insegnante, Sigismondo, si era quindi allontanato da lui, non sopportandone più l’attacco del tasto e la pretesa virtuosistica, muscolare. Vitale non aveva mai conosciuto Beniamino Cesi, padre di Sigismondo, perché era nato nel 1908 dopo la morte di Cesi, avvenuta nel 1907. 

“Vincenzino” criticava i principi che Beniamino Cesi aveva esposti nel celebre “Metodo per lo studio del pianoforte” in dodici fascicoli. Cesi (padre) aveva avuto tanti allievi e tutti di successo: Alessandro Longo (di cui furono allievi Aprea e Denza), Martucci (con cui studiarono Anfossi, a sua volta insegnante di Arturo Benedetti Michelangeli e Bruno Mugellini, maestro di Agosti e Maria Tipo), Rossomandi (dalla cui linea partirono Brugnoli, Calace e… Scaramuzza, a loro volta maestri di Mannino, Argerich, Gelber…), Antonietta Webb-James (insegnante di Eugenio Fels, maestro di chi scrive). 

Poi, naturalmente, Beniamino insegnò al figlio Sigismondo, con cui, appunto, studiò Vincenzo Vitale, il quale ultimo, come storicamente documentato, criticò la tecnica di tutti gli altri (quelli appunto dai cui rami provenivano tanti insigni pianisti) per fondare una sua scuola. In un libro intitolato Il pianoforte a Napoli nell’Ottocento (Napoli 1983, Bibliopolis) Vitale attacca i principi tecnici di quella “vecchia” scuola. Lo fa in un modo particolare, scientificamente subdolo: parla bene degli uomini, ma malissimo delle loro acquisizioni tecniche, dei Metodi che avevano pubblicato riscuotendo successo in tutto il mondo, della loro “musicalità”, e si schiera a favore di una concezione tecnica ‘muscolare’ (sono parole immortalate in alcuni documenti video consegnatici dalla storia) e di un virtuosismo fondato sull’eguaglianza di un attacco del tasto basato prevalentemente – e semplicisticamente – sul ‘lancio’ del dito. 

Leggiamo da quel libro:

p. 61: “Scorrendo le pagine del metodo di Beniamino Cesi, sempre più si è convinti che l’insegnamento del pianoforte, quando riusciva, era solo opera di suggestione”.

p. 61: “I concetti della metodica di Cesi costituiscono un passo indietro rispetto alla perfetta nozione, alla moderna visione del pianismo che Thalberg indicò” [Thalberg che Vitale ovviamente non conobbe essendo morto nel 1871, e col quale invece Cesi aveva studiato]

p. 62: “Da quanto ho sommariamente ed approssimativamente riferito, si può evincere che l’insegnamento d’un caposcuola come Beniamino Cesi fosse basato sulla suggestione che all’alunno derivava dal prestigio artistico del docente”.

Ma non basta. Vitale attacca anche gli altri rami della scuola di Cesi.

Su Rossomandi, p. 101: “si rileva con disappunto, nel metodo di Rossomandi, il ritorno all’irrazionale concetto del tenere un tasto premuto…”. Su Longo e Rossomandi, p. 111: “Rossomandi e Longo leggevano. Ma erano letture affrettate, seguite da più affrettate conclusioni” [Entrambi hanno lasciato Metodi ancora usati: la celebre “Guida per lo studio tecnico del pianoforte” divisa in otto volumi di Florestano Rossomandi e “La tecnica pianistica” in dodici fascicoli di Alessandro Longo]. Ancora su Longo, con singolare alternanza di giudizi, tra l’uomo e il didatta, p. 111: “Pianisti privi di doti strumentali si rifugiano all’ombra di geni musicali che appartengono alla preistoria dello Steinway. Col pretesto d’una ‘musicalità’ che sbandierano sciupando la frase e gabbando quanti blaterano contro il ‘vistuosismo’ equivocando con faciloneria su d’un fondamentale aspetto del pianismo”.

Virtuosismo, tecnica muscolare contro musicalità, cantabilità e tecnica del tocco tipiche della vecchia scuola. [Lo stesso Vitale parla in un video della “vecchia scuola”, e sostiene che solo lui ha cominciato a insegnare la vera Tecnica: “Finora questa tecnica non si è insegnata… il legato, il polifonico”. Eppure, interi capitoli di interi metodi sono dedicati a questi aspetti, e manuali della vecchia scuola si occupano del tocco…].

Beniamino Cesi

Questi sono i dati ‘documentati’ e riportati anche da storici e studiosi (tra cui Piero Rattalino nel suo fondamentale Le grandi scuole pianistiche, Milano 1992, Ricordi). Tutto ciò considerato, sorprende oggi che ci sia chi ancora si appropri (impropriamente) di una linea di continuità tra Vitale e Beniamino Cesi, riempiendosi la bocca e mescolando ad arte i rami delle diverse scuole, come se tutti i grandi pianisti di scuola napoletana scaturissero da chi invece quella scuola aveva rinnegato. Con quale intenti? E, soprattutto, con quale significato e attualità? Oggi i più promettenti pianisti usano una pluralità di tecniche, studiano e si perfezionano con Maestri di ogni orientamento, ritrovando forse quello spirito genuino che caratterizzò Czerny, Liszt, Thalberg, alla cui epoca, appunto, tutti studiavano con tutti, perché ciò che prevaleva non era il primato da cortile, o da piccola associazione di provincia (Napoli, si sa, si fa spesso provincia dell’impero), ma il primato della Musica. Che senso ha falsificare i dati storici? Non sarebbe meglio affermare che la vecchia scuola napoletana fece sue certe acquisizioni (tocco, cantabilità, tecnica del legato e polifonica) e la nuova scuola, che forse prevalse perché radicata nell’italietta accademica dei conservatori del dopoguerra, ne approfondì altre? (una certa nitidezza ed eguaglianza del suono in velocità?). Entrambe le scuole hanno prodotto nomi di insigni pianisti: per quale motivo qualcuno avverte la necessità di farsi promotore e Verbo dell’autentica Scuola Napoletana, senza distinguere tra i suoi originari fondatori e divulgatori nel mondo e gli epigoni del solo Vitale? Si sta davvero rendendo un servizio allo stesso Vitale, confondendo le acque e rimestando le tecniche che egli stesso aveva (a torto secondo chi scrive) ricusate?
Mah… Misteri italiani.

Il celebre Metodo di Beniamino Cesi, ancor oggi proficuamente usato da centinaia di studenti