La generosità di Kiki Bernasconi

Recensione di Girolamo De Simone

Kiki Bernasconi non ha certo bisogno di presentazioni: da astro nascente del pianoforte, e nonostante un precocissimo ritiro, ebbe modo di restare nella storia dell’interpretazione pianistica, e restarne già iscritta nel mito, anche per aver collaborato con alcuni tra i più importanti e storicizzati direttori d’orchestra. Allieva di Paolo Denza, che aveva studiato con quel Longo considerato uno dei continuatori più ‘fedeli’ della autentica scuola pianistica napoletana risalente a Beniamino Cesi, il suo pianismo mostra vicinanza a quest’ultimo molto più di quanto non avvenga con Vitale, con il quale Bernasconi pure si perfezionò. Vitale, infatti, aspramente criticò i principi del Metodo pianistico del caposcuola Beniamino Cesi, e inaugurò una ‘nuova’ scuola, differente sin dall’attacco del tasto (mutuato forse da Brugnoli, altro didatta che si pose in discontinuità sin dalle sue revisioni pianistiche: non a caso, molti gli preferirono Mugellini).

Anche uno storico come Piero Rattalino – forse – sminuisce l’importanza di Cesi, colpevole di non aver dedicato attenzione al ‘tocco’. Ma nel Metodo vi sono appositi esercizi che danno rilievo ad alcune note all’interno di accordi, note che, appunto, senza ‘tocco’ non potrebbero ‘cantare’. L’importanza del tocco (nella scuola di Cesi) è poi affermata chiaramente in un trattato di prima mano e di indiscussa importanza storica, L’arte di suonare il pianoforte di Pietro Boccaccini (1913, Casa editrice Musica: ben 510 fitte pagine da studiare attentamente prima di esprimersi su ‘quale’ sia la più autorevole e diretta ‘diramazione’ pianistica proveniente da Beniamino Cesi). 

Ma Kiki Bernasconi supera queste mie diatribe mostrando gran garbo e numerose vie d’uscita in un disco appena uscito, un monografico tematico intitolato significativamente “La luna… la notte… il sogno” (Phonotype Record – CD 0554). Si tratta di una silloge di Notturni, e di altri brani ispirati alla luna o al sogno, intercalati a letture tratte da Leopardi e Salvatore Di Giacomo (la voce recitante è di Andrea de Goyzueta), dove con libertà e tocco ricercato Bernasconi mostra generosità e libertà di offerta musicale tali da conquistare all’ascolto anche i non addetti ai lavori. 

I brani di questo lavoro che ascolto e riascolto sono i Notturni di Field, un Chiaro di luna di Gabriel Fauré, e l’omaggio implicito a Sergio Fiorentino (altro grande Pianista napoletano del quale andrebbe indagata l’opera e raccontata la storia: Gianni Cesarini ha promesso di farlo presto), attraverso una sua trascrizione di Après un rêve, sempre di Fauré (per chi la cercasse, questa e altre trascrizioni di Fiorentino sono pubblicate, in bella e accurata edizione a cura di Riccardo Risaliti per le Edizioni Curci). 

Il disco scorre con gradevolezza e naturalezza, come se Kiki fosse presente nel nostro salotto e ci suonasse con generosità questi magnifici brani, forse tessendo un fil rouge denso di amori concettuali e doni-frammenti di un discorso maturo. Il che ci fa ben desiderare nuove incisioni, altre sue invenzioni, altri accostamenti che, si sa, sono creazione essi stessi, raccogliendo ipotesi e formando ipostasi, sogni concretizzati di una vita intera dedicata all’amore per il pianoforte. Uno strumento che, se non canta, tradisce il sogno di chi lo inventò: emulare il calore e il colore della voce umana, la quale sussurra o esplode, lega o sospende, fraseggia ma sempre respira, muovendosi infine come onda. Laddove questa pluralità di accenti, che nel pianoforte diventa appunto ‘tocco’ e intenzionalità, sia assente, lo strumento torna ad essere una macchina complessa, inutile, infernale. Incapace di rendersi permutazione desiderante.

La cover del nuovo cd di Kiki Bernasconi