I Racconti di Valerio Daniele

Un suono lontano, quasi un gong. Ma è una chitarra, trattata, Questo l’incipit di “Racconti dalla fine del mondo” di Valerio Daniele (Desuonatori DES_009_2023, Coordinamento di autoproduzioni per la socializzazione di musica inedita in nuovi contesti di fruizione). “Così lontano” (track 02) parte con un ricamo delizioso, à la manière de… Daniele: sospende, sosta, produce un arpeggio che ricorda il genio dei Settanta, ma solo per allusiva suggestione mia, personale. Termina, improvvisamente, come un sogno inattaccabile e irraggiungibile. MA non ci si può accomodare nel dato onirico: un gigante distonico e distorsivo attacca un discorso rumoristico, che è solo un ‘carillon’, dal suo punto di vista (03). Un uomo che fischia sommessamente accenna un inciso melodico, ma bisogna proprio sforzarsi per poterlo accogliere nel discorso di prima, e poterne raccogliere la consequenzialità di stile ‘nel’ sogno. Il fischio è poi ripreso in modo mensurato al termine, dalla chitarra. In “Gemme” uno sgocciolio, con contrappunto di rumorini altri, e profluvi sonori, lunghi, che entrano piano, apparentemente sullo sfondo. Ci riprendiamo la serenità dell’ascolto… comprendendo che una alternanza tensione/distensione accompagnerà, come del resto ogni respiro, tutto il percorso del disco. “L’intera coda delle comete” rammenta i suoni stellari (pulsar? buchi bianchi?), e torna ad essere… rumorista fino all’ingresso conciliato della chitarra di Daniele, quella a cui ci ha abituati nei precedenti lavori, quelli delle promesse ora mantenute. Ciò che si è sempre trovato di accattivante in questa musica è il fraseggio, che non può che parlarci di un mondo animico sorprendente, stratificato, complesso ma coerente: un mondo che ora si fa racconto, anzi ‘racconti’ – di un’urgenza. Dove sono finiti tutti quelli che dovrebbero gridare al miracolo e additare questa musica di frontiera come il miracolo che è?

“Mani troppo grandi per un clavicembalo” è assertivo e orientale, per lo meno in ciò che epoche di tradizione, Philosophia perennis, tramandano come tali nel pensiero e nella memoria. Solo 1’38”, e, proprio per questo, bellezza senza retorica. L’eco, quell’eco che mi giunge dagli anni Settanta, riappare ne “Il tempo di partire” (07), quasi ripresa del discorso su lontananze… e un piccolo ribattuto agli acuti, come suoni di ponticello… una meraviglia. Atonale, poi assertivo “Leaves” (08). Una “Tarantella degli svitati”, che non ci si aspetterebbe, ma è coesa col senso del discorso, perché non c’è verità senza almeno una asserzione erronea (come potrebbe essere unitaria, altrimenti?). La sequenza accordale mantiene la continuità di questo senso, ed è bello quando l’armonia è in grado di farsi melodia, col solo supporto di una serrata ritmica. Tutti i brani, si deve ora aggiungere, si troncano quando finiscono il loro dire: ancora assenza di retorica, essenzialità. 

Generare interesse da una ‘scordatura’ della chitarra, come se al momento di mettersi a diapason un’orchestra cercasse… la via di un “Canto rubato” (10). Torna la pulsazione ritmico/rumoristica in track 11, con creature marine che contano i giorni, inesorabili nel loro incedere verso questa fine del mondo che s’approssima anche nel disco di Daniele. Ma ancora gli assoli di track 12, e il ritorno del “sette”, numero magico per eccellenza perché al centro dei triangoli elementali sovrapposti, nella traccia 13: “7 minuti prima dei fuochi di artificio”, perché ogni mondo che si rispetti, e ogni festa, deve terminare col botto… che qui, trattandosi di Valerio Daniele, è intimismo puro, luminescenza, sospensione, tinte soffuse…

Pregiatissima festa l’artwork, con opere o interventi di Egidio Marullo, Maria Teresa De Palma, Ilaria Secli, Daniele Coricciati, Davide Barletti, Lorenzo Conte, Walter Forestiere, Valentina Sansò: far Bella Comunità attorno a un progetto.

GIROLAMO DE SIMONE

La copertina dei “Racconti” in musica di Valerio Daniele