“Mother Moonlight” e le altre magie di Max Fuschetto

recensione di Girolamo De Simone

Si chiude un decennio discografico, e tra i suoi nobili suoni c’è per me “Mother Moonlight” di Max Fuschetto, disco del 2017, dono sempreverde.

Paesaggio incantato è “Danzando nel buio”, un pianoforte che ricama cellule con delicatezza, e dinamiche incalzanti. Un basso, un mezzoforte, poi “Mother Moonlight”: i paesaggi onirici, perciò forse lunari, di Fuschetto, con le trasparenze e variazioni sul bianco. Ma è un alito che soffia come affacciandosi al silenzio.

In “The upside down world” si intravedono le forme del mondo, ancor scure, dissonanza disegnata in controluce dal profilo delicato, grigiofumo, ma tra azzurro e arancio del sole nascente. Il ricamo degli acuti del pianoforte appare come un richiamo sotteso, un tratto d’unione fra le prime linee del disco. Un’apparizione, con lieve bordone elettronico, di appena più di un minuto: “Soffioni”. Riconoscerei le cellule germinali di Fuschetto, caratteristiche della sua cifra anche nei dischi precedenti: appaiono come un richiamo confermativo nella quinta track: “In cerchio”. E ancora: necessità del reale, scorgo in tal modo la complessità delle sovrapposizioni dissonanti di “Nenia astrale”, come un decifrabile messaggio la cui dimensione onirica è accennata da pennellate, forse di chitarra elettrica.

“Ting tang” è l’omaggio dichiarato a Bartók, grande amore concettuale dell’Autore (che magia, a 2’16”!). Di “Crescendo (come un blues)” amo certe aperture armoniche, sotto alla linea del violoncello, la bellezza di un nuovo crescendo e – infine – la profondità e lunghezza di un basso, risonante come solo gli Steinway di Angelo Fabbrini possono fare. Un’estetica futuristica è nel trattamento del suono elettrico (ove appare), con frasi che erompono, dei ‘fuori margine’ che acquistano presenza e nitidezza appena mitigate dall’allure di un violoncello. Chitarre ed elettronica disegnano uno sfondo che definirei post-ultra-industriale (filosoficamente, non genere musicale), e che trasferisce una multistraticità al panorama sonoro, perché si tratta sempre di un dialogo tra mondi incantati/apparizioni (pianoforte) e parossismi di puro suono.

Leggo poi, in altre tracce, una concisione nel discorso, un desiderio aforistico che mi par tipico del mondo orientale, come haiku sonori, senza concessioni alla retorica del gesto, o ammiccamenti a lingue predefinite, dai quali Fuschetto è esente. Dopo passi nella neve, che disegnano un mondo personalissimo, con una segnatura stilistica individuata, il disco si chiude riproponendo “Canzone”, uno dei brani di Max Fuschetto che più amo in tutte le sue versioni.

Non posso chiudere se non citando i protagonisti del disco: Enzo Oliva (piano), Max Fuschetto (composition, oboe & electronics), Pasquale Capobianco (electric guitar), Eleonora Amato (violin), Silvano Fusco (Cello), Enrico Falbo (Dilruba), Franco Mauriello (Clarinet).
Piano Steinway Gran Coda Fabbrini. Recorded by Alfonso La Verghetta Italy sound Lab. Design Marianna Longo. Etichetta Hanagoori Music

Mother Moonlight è il disco di Max Fuschetto raccontato nella recensione